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I vizi del licenziamento e le tutele del lavoratore: normativa e orientamenti giurisprudenziali

Scopriamo come riconoscere i vizi del licenziamento e quali sono le tutele del lavoratore previste dalla legge: reintegrazione, indennità, ricorsi e conciliazioni


In cosa consiste un licenziamento viziato

Il licenziamento costituisce l’atto unilaterale con cui il datore di lavoro recede dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Tale recesso, tuttavia, è sottoposto a una serie di vincoli di legittimità formale e sostanziale, la cui violazione comporta conseguenze rilevanti in termini di tutela del lavoratore.


Tipologie di vizi del licenziamento

I vizi del licenziamento possono essere distinti in formali e sostanziali.

  • I vizi formali attengono al mancato rispetto delle prescrizioni procedurali previste dalla legge (ad esempio, l’omessa comunicazione dei motivi ex art. 2, L. n. 604/1966, o la violazione della procedura di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori per i licenziamenti disciplinari).

  • I vizi sostanziali, invece, si riferiscono alla carenza di una giusta causa o di un giustificato motivo oggettivo o soggettivo, secondo quanto previsto dall’art. 3 della legge n. 604/1966 e dall’art. 2119 c.c.

La distinzione è tutt'altro che meramente classificatoria, poiché incide direttamente sulla tipologia di tutela riconosciuta al lavoratore.


L’evoluzione normativa: dalla L. n. 300/1970 al D.lgs. n. 23/2015

La normativa italiana ha conosciuto una significativa evoluzione in materia di tutele contro il licenziamento illegittimo.

Con la Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), l’art. 18 ha introdotto una tutela reale, consistente nella reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, qualora il licenziamento fosse risultato privo di giusta causa o giustificato motivo. Tuttavia, l’introduzione della riforma Fornero (L. n. 92/2012) e, successivamente, del Jobs Act (D.lgs. n. 23/2015), ha inciso profondamente sull’apparato sanzionatorio.

In particolare, il D.lgs. n. 23/2015 ha introdotto un regime differenziato per i lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015, con una prevalenza di tutele indennitarie (fondate sull’anzianità di servizio), a discapito della reintegrazione, riservata a casi eccezionali di licenziamento nullo, discriminatorio o manifestamente infondato.


I rimedi applicabili: reintegrazione vs indennizzo

Le tutele previste in caso di licenziamento viziato si articolano, oggi, in quattro principali ipotesi:


1) Licenziamento nullo o discriminatorio

Ai sensi dell’art. 2, D.lgs. n. 23/2015, e in conformità con l’art. 18, co. 1-2, Stat. lav., nei casi di licenziamento discriminatorio (art. 15 Statuto dei lavoratori) o nullo (per violazione di norme imperative: ad esempio, durante gravidanza, matrimonio, maternità/paternità), il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento di un’indennità commisurata alla retribuzione maturata dalla data del licenziamento a quella della reintegra (dedotto quanto percepito a titolo di retribuzioni), oltre al versamento dei contributi previdenziali.


Ø  Il licenziamento ritorsivo e in genere il licenziamento fondato su motivo illecito determinante, è equiparato al licenziamento nullo e, dunque, gode della medesima tutela reintegratoria e risarcitoria.

Ø  La giurisprudenza ha eseguito un profondo lavoro di interpretazione normativa sino ad arrivare ad estendere la tutela reale a ulteriori ipotesi di licenziamento, talmente gravi da renderli affetti da nullità radicale.

Ø  Le dimensioni dell’azienda non incidono sulla tutela accordata in caso di nullità del licenziamento.


2) Licenziamento disciplinare privo di fatto contestato (insussistenza fatto materiale e/o giuridico)

L’art. 3, co. 2, D.lgs. n. 23/2015, prevede la reintegrazione anche nei casi in cui sia provata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. La giurisprudenza ha esteso la reintegrazione del lavoratore anche ai casi in cui, pur sussistendo il fatto materiale, questo sia irrilevante dal punto di vista disciplinare e giuridico.

La giurisprudenza ha, inoltre, precisato che tale ipotesi di reintegra del lavoratore deve essere interpretata in senso restrittivo, escludendo valutazioni di proporzionalità sulla sanzione espulsiva.


Ø  La giurisprudenza ritiene che in tema di licenziamento disciplinare, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ai fini della pronuncia reintegratoria di cui all'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare.

Ø  In caso di azienda con meno di 15 dipendenti è esclusa l’applicazione della tutela reintegratoria ex art. 3 c. 2 D.lgs. 23/2015. È prevista unicamente la tutela indennitaria di cui al comma 1 del medesimo d.lgs, ma dimezzata e non può in ogni caso superare le 6 mensilità (art. 9 D.lgs. 23/2015).


3) Vizi procedurali

Il mancato rispetto delle forme imposte dalla legge (es. assenza della lettera di contestazione, violazione del contraddittorio disciplinare) comporta, ex art. 4, D.lgs. n. 23/2015, la corresponsione di un'indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 2 e un massimo di 12 mensilità.

Ø  In caso di azienda con meno di 15 dipendenti, in applicazione dell’art. 9 D.lgs 23/2015, l’indennità prevista dall’art. 4 è dimezzata e in ogni caso non può superare le 6 mensilità.

Ø  Attenzione: la giurisprudenza ha ricondotto all’alveo della nullità i casi di violazioni procedurali di estrema gravità (ad es. mancanza di contestazione disciplinare o omessa forma scritta del licenziamento), ciò comportando l’applicazione della tutela reintegratoria e connessa indennità risarcitoria. Ciò indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda.


4) Licenziamento ingiustificato (illegittimo)

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo ritenuto ingiustificato, il D.lgs. n. 23/2015 prevede una tutela meramente indennitaria, compresa tra 6 e 36 mensilità e in genere pari a due mensilità per ogni anno di lavoro prestato. Il Giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e stabilisce l’ammontare della tutela indennitaria all’interno della cornice stabilita dal succitato articolo.


Ø  La Corte Costituzionale (n. 194/2018) ha confermato come la tutela indennitaria non possa essere connessa solo ed esclusivamente al criterio dell’anzianità lavorativa, dovendosi dare particolare rilevanza anche alle dimensioni e fatturato dell’azienda, contesto in cui è avvenuto il licenziamento, gravità delle violazioni poste in essere e in ultimo il tenore del comportamento tenuto dalle parti. Dunque, il criterio dell’anzianità diviene la base di partenza per un calcolo che deve essere personalizzato al caso di specie. Attenzione perché, in ogni caso, è necessario giustificare una richiesta di risarcimento superiore al minimo previsto in base all’applicazione del criterio di anzianità.

Ø  Ai sensi dell’art. 9 D.lgs 23/2015, nel caso di aziende con meno di 15 dipendenti l’indennità risarcitoria di cui all’art. 3 c. 1 è dimezzata e in ogni caso non può essere superiore a 6 mensilità

Ø  È importante precisare anche quale sia il tallone di riferimento per il calcolo delle varie indennità previste dalla normativa appena evidenziata. In genere, la normativa si riferisce sempre all’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR quale base per i conteggi relativi alle indennità previste. Dunque, quando ci si riferisce alla mensilità in tema di tutela indennitaria ex D.lgs 23/2015, si intende la somma corrispondente all’ultima retribuzione utile ai fini del TFR. Detta somma non deve essere confusa con l’indicazione della retribuzione lorda nell’ultimo cedolino consegnato, questa sarà solo la base per il calcolo della retribuzione utile ai fini del TFR. Bisognerà applicare la seguente formula: [ultima retribuzione x numero mensilità percepite (13/14)] : 12. Alla somma coì ottenuta bisogna aggiungere tutti gli emolumenti percepiti regolarmente con cadenza mensile e che quindi concorrono a formare la base di calcolo del TFR. Ad esempio: ticket/buoni pasto, premi, indennità… ciò che rileva è che abbiano carattere regolare e continuativo. Se gli emolumenti da considerare non hanno importi regolari, bisognerà calcolarne il valore medio sui 12 mesi precedenti il recesso. Attenzione e riparametrare sempre la retribuzione al monte ore contrattuale in casi di rapporti di lavoro part-time.


Come impugnare un licenziamento viziato

Il licenziamento nullo o illegittimo deve necessariamente essere impugnato nel termine di 60 giorni dall’irrogazione. L’impugnazione deve avere forma scritta e deve essere chiara la volontà di impugnare il licenziamento perché viziato e può essere effettuata direttamente dal lavoratore.

In caso di mancato raggiungimento di un accordo, il licenziamento deve essere giudizialmente mediante ricorso al tribunale competente entro i successivi 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale.

Qualora non vengano rispettati i suddetti due termini, il lavoratore decade dalla facoltà di impugnare il licenziamento e farne valere l’illegittimità/nullità.


La conciliazione come alternativa alla causa

Oltre a percorrere la strada dell’impugnazione giudiziale il lavoratore ha tutta una serie di rimedi alternativi che può adottare, sia per formalizzare un accordo con il datore di lavoro, sia con la finalità di trovarne uno.

Ogni accordo tra datore di lavoro e lavoratore e che abbia ad oggetto delle rinunce da parte del lavoratore deve essere siglato in determinate sedi, definite protette, pena l’inefficacia degli stessi. Le conciliazioni possono essere effettuate in sede sindacale alla presenza di un conciliatore o anche presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro tramite attivazione di apposite procedure. Anche gli accordi raggiunti per tramite di negoziazione assistita da avvocati sono leciti e validi a tutti gli effetti di legge.


Ø  Gli accordi stipulati nelle sedi promettete si possono impugnare solo per vizi alla volontà e dunque al consenso. Ad esempio, nel caso in cui sia possibile dimostrare la mancata assistenza effettiva al lavoratore o in caso di evidente sproporzione tra le rinunce effettuate dal lavoratore e le concessioni effettuate dal datore di lavoro. I verbali di conciliazione devono essere impugnati nel termine di 6 mesi dalla sottoscrizione per farne valere l’illegittimità o nel termine di 5 anni qualora sia fatta valere una nullità.

Ø  Tutti i verbali di conciliazione e gli accordi di negoziazione assistita sono equiparati a titoli esecutive; pertanto, in caso di mancato ottemperamento da parte del datore di lavoro è possibile procedere direttamente con l’esecuzione forzata.

Ø  Una particolare procedura conciliativa è prevista dall’art. 6 D.lgs 23/2015 ai sensi del quale il datore di lavoro che abbia proceduto ad un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, nei termini dell’impugnazione stragiudiziale, e con finalità meramente conciliative, può offrire al lavoratore un assegno circolare pari a una mensilità per ogni anno lavorato con un minimo di 3 mensilità a un massimo di 27. Le somme versate a tal titolo sono esenti da contribuzione e tassazione. La procedura deve essere effettuata tramite conciliazione sindacale o ITL.

Ø  Anche l’art. 7 L. 604/1966 prevede una particolare procedura in parte preventiva in parte deflattiva del contenzioso, in caso un datore di lavoro con oltre 15 dipendenti intenda operare un licenziamento per GMO. Il datore di lavoro deve effettuare una comunicazione preventiva all’ITL competente e in copia conoscenza al lavoratore, rappresentando l’intenzione di procedere al licenziamento e l’impossibilità di ricollocamento. L’ITL convoca un incontro volto a conciliare la potenziale controversia e finalizzato ad evitare il licenziamento o a trovare un accordo di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In caso di mancato accordo, il datore può procedere in ogni caso al licenziamento e il lavoratore avrà sempre diritto ad impugnarlo.


Conclusione

Nel panorama normativo attuale, i vizi del licenziamento e le tutele del lavoratore sono regolati da un sistema articolato, dove ogni errore formale o sostanziale può determinare conseguenze rilevanti per il datore di lavoro.


un uomo che, orgoglioso, si appresta a salire la scalinata per entrare in tribunale. Sullo sfondo la bilancia della giustizia e due mani strette in accordo.

 
 
 

© Avvocato Valentina Mosca  | Tutti i diritti sono riservati

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