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Licenziamento discriminatorio e ritorsivo: tutela legale e nullità del recesso datoriale

Scopriamo cosa sono il licenziamento discriminatorio e il licenziamento ritorsivo, perchè sono nulli, come provarli e quali sono le tutele previste dalla legge per il lavoratore.


In cosa consiste il licenziamento discriminatorio

Il licenziamento discriminatorio è un atto di recesso unilaterale del datore di lavoro motivato da ragioni vietate dalla legge, quali l'appartenenza sindacale, le convinzioni religiose, l'orientamento sessuale, la razza, il genere, la disabilità o l'età del lavoratore. Questo tipo di licenziamento è considerato nullo e comporta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno subito.


Normativa di riferimento

La disciplina del licenziamento discriminatorio si fonda su una pluralità di fonti normative:

  • Costituzione della Repubblica Italiana: l'art. 3 sancisce il principio di uguaglianza e vieta ogni forma di discriminazione.

  • Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970): l'art. 15 vieta qualsiasi atto o patto diretto a licenziare un lavoratore a causa della sua affiliazione o attività sindacale, nonché per motivi politici, religiosi, razziali, di lingua e di sesso.

  • Legge n. 604/1966: l'art. 4 stabilisce che il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacale è nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata.

  • Legge n. 108/1990: l'art. 3 prevede la nullità del licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi dell'art. 4 della legge n. 604/1966 e dell'art. 15 dello Statuto dei Lavoratori.

  • Decreti Legislativi n. 215/2003 e n. 216/2003: attuano le direttive europee in materia di parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale.

  • D.Lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità): disciplina la parità tra uomo e donna in materia di occupazione e impiego.

  • Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità: ratificata dall'Italia con la legge n. 18/2009, impone l'adozione di "accomodamenti ragionevoli" per garantire la parità di trattamento delle persone con disabilità.


Licenziamento Ritorsivo: motivo illecito determinante

La nozione di licenziamento ritorsivo è frutto di un’elaborazione prettamente giurisprudenziale e si configura nelle ipotesi in cui il recesso datoriale costituisca una reazione arbitraria e ingiustificata all’esercizio, da parte del lavoratore, di situazioni soggettive tutelate dall’ordinamento. In particolare, la ritorsione si manifesta quale atto di rifiuto o penalizzazione nei confronti di condotte pienamente legittime del dipendente, correlate all’esercizio di diritti connessi al rapporto di lavoro, come ad esempio l’adesione a iniziative sindacali, l’opposizione a prassi aziendali illegittime, o la proposizione di azioni giudiziarie nei confronti del datore di lavoro.

Si è dunque in presenza di un licenziamento ritorsivo quando il recesso ha come causa reale una finalità punitiva nei confronti del lavoratore, il quale diviene destinatario di una sanzione implicita per il solo fatto di aver esercitato un diritto. In tali circostanze, l’atto espulsivo è connotato da un motivo illecito, che ne determina la nullità.

Sotto il profilo giuridico, la riconducibilità del licenziamento ritorsivo al paradigma della nullità per motivo illecito è fondata sull’art. 1345 c.c., il quale dispone che il contratto è nullo se il motivo illecito, comune a entrambe le parti o a una di esse e noto all’altra, è stato determinante ai fini della conclusione dell’atto.

Nel contesto del rapporto di lavoro, tale previsione è interpretata nel senso che il licenziamento è nullo qualora:

  • il motivo formalmente addotto sia meramente apparente o pretestuoso;

  • il motivo illecito reale costituisca la causa esclusiva e determinante della volontà di recedere, ossia rappresenti la ragione effettiva, unica e qualificante, del licenziamento.

La rilevanza della prova dell’intento ritorsivo (dolo), e in particolare della sua esclusività, costituisce elemento centrale nel giudizio di nullità, distinguendo il licenziamento ritorsivo da quello eventualmente illegittimo ma fondato su ragioni diverse e non illecite. In sintesi, la ritorsione esclude qualsiasi giustificazione oggettiva o soggettiva lecita, ponendosi come unico fondamento della scelta espulsiva del datore di lavoro.


Onere della Prova

Nel licenziamento discriminatorio

Nel caso di licenziamento discriminatorio, il lavoratore deve fornire elementi di fatto idonei a fondare, in termini presuntivi, l'esistenza di una discriminazione. Spetta poi al datore di lavoro dimostrare l'insussistenza della discriminazione e la legittimità del recesso. Questo principio è sancito dall'art. 40 del D.Lgs. n. 198/2006.


Ø  Onere probatorio posto in capo al datore di lavoro


Nel licenziamento ritorsivo

Nel caso di licenziamento ritorsivo, l'onere della prova incombe sul lavoratore, che deve dimostrare che il motivo illecito ha rappresentato la causa determinante del licenziamento. Tuttavia, la giurisprudenza ha riconosciuto che la natura ritorsiva può essere desunta anche da semplici presunzioni, come l'infondatezza di una precedente contestazione disciplinare o la predisposizione di ulteriori lettere di contestazione a carico del lavoratore, o in ogni caso attraverso qualsivoglia elemento indiziario tale da confermare un contesto di ritorsioni nei confronti del dipendente.


Ø  In giurisprudenza, si è precisato che la ritorsione può essere desunta anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, soprattutto nei casi in cui l’atto di recesso sia preceduto da conflitti interni, rivendicazioni o azioni legali del lavoratore, in assenza di condotte disciplinarmente rilevanti o di concrete ragioni organizzative o produttive.

Ø  Nonostante un onere probatorio parzialmente attenuato, questo ricade in ogni caso integralmente in capo al lavoratore. Bisogna rilevare come la ritorsività del licenziamento sia molto complessa da provare per il lavoratore.


Tutela del lavoratore

Quando si accerta un licenziamento nullo per motivo discriminatorio o ritorsivo, il lavoratore ha diritto a:

  • reintegrazione nel posto di lavoro;

  • risarcimento integrale dei danni subiti (stipendi, contributi, TFR);

  • ripristino dei diritti contrattuali e previdenziali.


Ø  Il lavoratore discriminato, in alternativa all’ordinario procedimento giudiziario per impugnare il licenziamento può:

-       Adire preventivamente la Consigliera per le Pari Opportunità

-       Istaurare l’apposito procedimento giudiziale (più celere e snello) previsto dal Codice per le Pari Opportunità.

Il tema della discriminazione di genere e delle tutele per il lavoratore sarà approfondito in un apposito articolo.

 

Conclusioni

Il licenziamento discriminatorio e quello ritorsivo rappresentano due ipotesi di recesso profondamente lesive della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore. Entrambe conducono alla nullità del licenziamento e all'applicazione della tutela reintegratoria piena. In primis è fondamentale che i datori di lavoro adottino un approccio trasparente e coerente nella gestione delle risorse umane, evitando decisioni che possano anche solo apparire motivate da ragioni discriminatorie o ritorsive. D’altra parta è necessario che i lavoratori, siano a conoscenza dei propri diritti e agiscano tempestivamente per ottenere una tutela adeguata.

un lavoratore accasciato in un angolo che viene additato e isolato dal datore di lavoro e dagli altri colleghi


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