Potete anche ascoltare le mie pillole sulle tutele crescenti, su 'A Cavallo di un Cavillo'
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
- Job Act, D.lsg 23/2015;
- Decreto Dignità, D.L. 87/2018 (legge di conversione n. 96/208)
- Corte Costituzionale, sentenza del 26.09.2018 n. 194
1. Il contratto a tempo indeterminato
Il contratto a tempo indeterminato rappresenta (o quanto meno dovrebbe rappresentare) la forma comune di contratto di lavoro. Ciò è confermato, almeno sulla carta, anche dalle disposizioni in tema di contratto a tempo determinato contenute dal D.lgs 81/2015: l’art. 1 recita che ‘il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro’.
La caratteristica principale del contratto a tempo indeterminato è, ovviamente, la stabilità del rapporto di lavoro, che potrà interrompersi solo in determinati casi e alla presenza di precisi presupposti.
2. Job Act e le tutele crescenti
Il famigerato Job Act, non incide direttamente sulla stabilità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che infatti rimane tale. Come rimangano tassative le ipotesi di licenziamento, che non vengono rimaneggiate dalla normativa. Il datore di lavoro può recedere dal contratto a tempo indeterminato solo per: giusta causa, giustificato motivo oggettivo e soggettivo, oltre che le ipotesi di licenziamenti collettivi.
Rimane, quindi, fermo il fatto che se il datore di lavoro licenzia il lavoratore al di fuori delle ipotesi previste dalla legge o in caso di insussistenza dei presupposti prescritti dalla normativa, il licenziamento sarà in ogni caso illegittimo.
Ciò che viene modificato realmente dal Job Act è la tutela concessa al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.
Innanzi tutto bisogna precisare che la tutela forte della reintegra in caso di licenziamento illegittimo, prevista dalla L. 300/1970 e dalla L. 604/1966, persiste solo in caso di licenziamento discriminatorio e licenziamento orale. In tutti gli altri casi è prevista solo un’indennità per il dipendente ingiustamente licenziato.
Le tutele crescenti operano proprio sul calcolo di questa indennità.
Qualora il Giudice accerti l’illegittima del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo o per giusta causa, dichiara estinto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un indennità:
- pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio;
- non inferiore a due mensilità e non superiore a ventiquattro.
Quindi, con le tutele crescenti previste dal Job Act, l’indennità prevista in caso di licenziamento illegittimo è calcolata esclusivamente in rapporto agli anni lavorati.
Ciò significa ovviamente che un lavoratore assunto da poco tempo gode di meno tutele rispetto ad un altro assunto da più anni, anche a parità di condizioni dell’ingiusto recesso datoriale.
E’ evidente che il Job Act, pur non ampliando le ipotesi di licenziamento datoriale, pur non rendendo più lassi i presupposti del licenziamento, rendendo meno incise le tutele previste per il lavoratore, indirettamente rende più ‘facile’ per il datore di lavoro licenziare ingiustamente un lavoratore.
Infatti, è chiaro che il datore di lavoro subendo solo una perdita economica prevedibile e contenuta potrebbe essere portato ad effettuare licenziamenti più a ‘cuor leggero’. Non essendo più prevista la reintegra, ma solo un esigua indennità parametrata solo all’anzianità lavorativa, viene a mancare una misura dissuasiva vera e propria contro i licenziamenti illegittimi.
Tale situazione è ovviamente svantaggiosa per il lavoratore, in particolare per colui che è stato appena assunto, maturando le tutele con l’anzianità lavorativa.
3. Il Decreto Dignità
Sul Decreto Dignità, in realtà, vi è ben poco da riferire. Infatti, non erode il sistema delle tutele crescenti, ma si limitata ad innalzare i limiti della forbice all’interno della quale può essere calcolata l’indennità: il minimo riconosciuto in ogni caso al lavoratore passa da due a sei mensilità, mentre il massimo viene innalzato da ventiquattro a trentasei mensilità.
Perciò, certo, assistiamo ad un innalzamento dei massimali, ma il concetto delle tutele crescenti rimane intatto: l’indennità è calcolata solo ed esclusivamente in relazione all’anzianità lavorativa.
4. La Corte Costituzionale
Fortunatamente nel 2018, sul punto interviene la Corte Costituzionale con la sentenza n. 194, con la quale viene effettivamente intaccato il sistema delle tutele crescenti.
La Corte infatti, sancisce alcuni principi fondamentali:
- le tutele crescenti sono illegittime. O meglio è illegittimo il principio secondo il quale l’indennità sia calcolata solamente avendo riguardo all’anzianità lavorativa;
- è necessario ristabilire uguaglianza di trattamento nelle situazioni omogenee. I lavoratori licenziati ingiustamente nelle stesse condizioni, devono godere dello stesso trattamento indipendentemente dall’anzianità lavorativa;
- il Giudice, nel determinare l’indennità, pur rimanendo all’interno della forbice di minimi e massimi, deve tener conto di diversi fattori: mansioni e ruolo svolto dal lavoratore, dimensione dell’azienda (sia rispetto al numero dei dipendenti che all’attività economica svolta), circostanze del licenziamento illegittimo e comportamento tenuto dalle parti.
Tale intervento rappresenta un primo passo fondamentale verso la riformulazione delle tutele previste per il lavoratore in caso sia vittima di un licenziamento illegittimo. Certo rimane ancora molto da riformulare e innovare, rimane necessario prevedere strumenti effettivamente dissuasori per il datore di lavoro dall’operare licenziamenti illegittimi. Forse potrebbe essere auspicabile la reintroduzione della reintegra del posto di lavoro.
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