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Periodo di prova e recesso: regole, limiti e tutele nel rapporto di Lavoro


Periodo di prova e recesso: quando è valido, quali limiti impone la legge e quando diventa illegittimo.

 

Il periodo di prova è uno dei momenti più delicati dell’inizio di un rapporto di lavoro. Spesso viene percepito come una fase “libera”, in cui datore di lavoro e lavoratore possono interrompere il rapporto senza particolari vincoli. In realtà, anche il periodo di prova è regolato da norme precise e da una ricca elaborazione giurisprudenziale, che ne delimitano in modo chiaro i confini.

Comprendere come funziona il periodo di prova e quando il recesso è legittimo consente di evitare errori frequenti, che possono trasformare una semplice cessazione del rapporto in una controversia giudiziaria.

 

1.     La funzione del periodo di prova

La finalità del periodo di prova è essenzialmente bilaterale. Da un lato, il datore di lavoro può verificare se il lavoratore possiede le competenze tecniche e professionali necessarie per svolgere le mansioni affidategli. Dall’altro, il lavoratore ha la possibilità di valutare se il lavoro, l’ambiente e le condizioni contrattuali siano coerenti con le proprie aspettative.

Proprio perché si tratta di una fase “sperimentale”, il legislatore ha previsto una disciplina specifica, contenuta nell’art. 2096 del Codice Civile, che consente a entrambe le parti di recedere dal rapporto in modo più agevole rispetto alla disciplina ordinaria del licenziamento.

 

2.     La forma del patto di prova

Uno degli aspetti più rilevanti, spesso sottovalutato nella prassi, è che il periodo di prova deve essere pattuito per iscritto. La forma scritta non è un semplice adempimento formale, ma un requisito di validità del patto.

La giurisprudenza è costante nel ritenere che, in assenza di un patto di prova scritto e sottoscritto dal lavoratore al momento dell’assunzione, il rapporto di lavoro si consideri definitivamente instaurato sin dall’inizio. In questi casi, il datore di lavoro non potrà avvalersi della disciplina del recesso in prova, ma dovrà rispettare le regole ordinarie in materia di licenziamento.

Non solo: il patto di prova deve anche indicare in modo sufficientemente chiaro le mansioni oggetto della prova. Un generico riferimento alla qualifica o al livello di inquadramento potrebbe non essere sufficiente se non consente di comprendere quali attività il lavoratore è chiamato a svolgere.

 

3.     Durata del periodo di prova e proporzionalità

La legge non stabilisce una durata fissa del periodo di prova. Questa è normalmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro, che la modulano in base al livello di inquadramento e alla complessità delle mansioni.

Tuttavia, anche la durata del periodo di prova è soggetta a un controllo di legittimità. Una prova eccessivamente lunga, soprattutto per mansioni semplici o ripetitive, può essere considerata illegittima. La durata deve essere ragionevole e proporzionata rispetto all’attività da svolgere, perché solo così il lavoratore può essere realmente valutato.

 

4.     Il recesso durante il periodo di prova: libertà sì, ma non arbitrio

Durante il periodo di prova, sia il datore di lavoro sia il lavoratore possono recedere dal rapporto senza obbligo di preavviso e senza indennità. Questa è la regola generale prevista dall’art. 2096 c.c.

Tuttavia, la libertà di recesso non è assoluta. Il recesso deve sempre essere esercitato nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza contrattuale. Ciò significa che la decisione di interrompere il rapporto deve essere effettivamente collegata all’esito della prova.

Il datore di lavoro non è tenuto a motivare formalmente il recesso, ma, in caso di contestazione, dovrà dimostrare che:

  • il lavoratore ha avuto modo di svolgere concretamente le mansioni assegnate;

  • la valutazione negativa è stata reale e non pretestuosa;

  • il recesso non è stato determinato da ragioni discriminatorie o ritorsive.

 

La giurisprudenza ha svolto un ruolo centrale nel definire i confini dell’istituto, chiarendo che il periodo di prova non può essere utilizzato come strumento elusivo delle garanzie contro il licenziamento.

In particolare, i giudici hanno più volte ribadito che la prova deve essere:

  • effettiva;

  • coerente con le mansioni pattuite;

  • idonea a consentire una valutazione reale del lavoratore.

 

Ø  È necessario che il periodo di prova sia stato eseguito effettivamente e per un periodo di tempo adeguato rispetto alla previsione iniziale. Ad esempio, su un periodo di prova di tre mesi, il recesso non può essere legittimamente esercitato dopo due settimane.

Ø  Episodi come malattia o infortunio interrompono il periodo di prova che deve essere prolungato per un periodo pari alle assenze, diversamente il periodo di non prova non sarà stato svolto effettivamente ed efficacemente.

Ø  Durante il periodo di prova il lavoratore deve essere adibito alle mansioni previste contrattualmente e sulle quali deve vertere la prova. Diversamente, il periodo di prova non è espletato nella sua effettività e un eventuale recesso sarà illegittimo.

 

5.     Quando il recesso in prova diventa illegittimo

Il recesso esercitato durante il periodo di prova può essere considerato illegittimo in diverse ipotesi. Ciò accade, ad esempio, quando:

  • il patto di prova è nullo o mancante;

  • il lavoratore non è stato messo nelle condizioni di svolgere effettivamente la prova;

  • il recesso è motivato da ragioni estranee alla valutazione della professionalità (ad esempio, maternità, malattia, attività sindacale).

In questi casi, il recesso viene riqualificato come licenziamento illegittimo, con applicazione delle tutele previste dalla normativa vigente.

 

Ø  Ad esempio, può essere chiesta la reintegra se ricorrono i presupposti per qualificare il licenziamento quale nullo.

Ø  In ogni caso, essendo il recesso riqualificato come illegittimo, si applicherà la forbice indennitaria da 6 a 36 mensilità (aziende con più di 15 dipendenti).

 

6.     Il recesso del lavoratore durante la prova

Anche il lavoratore può recedere liberamente durante il periodo di prova. In questo caso, non è richiesto il preavviso e non vi sono particolari formalità da rispettare.

Resta però fermo che, in presenza di comportamenti datoriali gravi, il recesso del lavoratore può assumere i connotati delle dimissioni per giusta causa, con le conseguenze economiche e previdenziali previste dalla legge.

 

Conclusioni

Il periodo di prova è uno strumento utile, ma va gestito con attenzione. Dietro la sua apparente semplicità si nasconde una disciplina articolata, che impone il rispetto di regole formali e sostanziali precise.

Una gestione superficiale del periodo di prova o del recesso può facilmente trasformarsi in un licenziamento illegittimo, con conseguenze rilevanti per entrambe le parti. Per questo, è sempre opportuno affrontare questa fase con consapevolezza e correttezza, evitando scorciatoie che possono rivelarsi rischiose.


contesto di un ufficio aziendale sullo sfondo. Un lavoratore seduto alla scrivania svolge le proprie mansioni e un datore di lavoor alle sue spalle, in piedi, lo esami mettendolo alla prova

 

© Avvocato Valentina Mosca  | Tutti i diritti sono riservati

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